Da diverse settimane si assiste in città ad una notizia di cronaca che si ripete, dunque un fenomeno. Lavoratori pakistani protestano con picchetti organizzati generalmente di fronte alle aziende per cui lavorano: vengono sgomberati dalla polizia, spesso ci sono degli scontri. Le imprese protagoniste sono diverse, ma i lavoratori sono sempre espressione del sindacato ‘Sì Cobas’. A guidare l’azione di ribellione sono inoltre regolarmente due italiani, dirigenti locali del sindacato: Sarah Caudiero e Luca Toscano. Entrambi sono destinatari di un “foglio di via” da Prato emanato dalla questura cittadina, una disposizione che disattendono regolarmente con moto di disobbedienza civile per partecipare alle proteste dei lavoratori affiliati al loro sindacato. Abbiamo provato a capire cosa stia succedendo, il primo mattoncino di un viaggio nel mondo del lavoro pratese che vorremmo continuare nei prossimi mesi sulle pagine del nostro mensile.
Il nuovo sistema Prato
È assodato che negli ultimi anni numerosi ditte pratesi – soprattutto quelle a conduzione cinese, ma non solo – abbiano cominciato ad attingere a mano d’opera di nazionalità pakistana, bengalese e degli Stati africani. Lo ha certificato l’Inail (Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) con i suoi controlli ed in generale coloro che sono a contatto con il mondo del lavoro locale lo vanno dicendo da tempo. Spesso, in queste situazioni aziendali, si verifica un comportamento di mancato rispetto dei diritti dei lavoratori. I sindacati confederali – Cgil, Cisl e Uil - lo sanno, tanto che guidano una battaglia ad una sola voce con le associazioni di categoria pratesi per chiedere al governo nazionale di intervenire con controlli mirati. Tuttavia, accanto a questa guerra istituzionale, ne emerge una pratese che ha il volto di Sì Cobas. Il sindacato in questione, tramite l’affiliazione di numerosi lavoratori pakistani, utilizza mezzi di lotta a viso aperto. E non risparmia critiche esplicite ai sindacati confederali, oltre che al mondo della politica.
L’ultima battaglia è la prima
Le guerre di Sì Cobas stanno andando in scena in numerose ditte attorno al comparto dell’abbigliamento e del tessile, quasi tutte a guida cinese. Tuttavia nella notte tra domenica e lunedì (7 e 8 luglio 2019) ci sono stati nuovi scontri tra polizia e manifestanti proprio dove l’avventura di Sì Cobas aveva fatto breccia per la prima volta, un anno fa: di fronte a Panificio Toscano, in via Onorio Vannucchi, un’azienda che fa il pane e lo vende alla grande distribuzione. Lì, un anno fa, c’erano state proteste per far assumere il personale dalla ditta, dato che precedentemente il lavoro era affidato ad una cooperativa.Oggi invece i dipendenti pakistani chiedono “l’applicazione corretta del contratto di lavoro”, che era stato concesso ai dipendenti della ditta – circa 130 divisi nelle sedi di Collesalvetti e Prato – lo scorso gennaio in seguito ad un accordo siglato anche dalla Cgil. Secondo i dipendenti che protestano le condizioni non sono adeguate e chiedono che sia applicato loro il contratto del comparto industria al posto di quello dell’artigianato: il primo è di circa 400 euro lorde superiore al secondo (1650 contro 1250 euro mensili).
Attorno a queste questioni, che sono fattuali e tecniche, ruota la differenza nella modalità di battaglia di Sì Cobas e dei sindacati confederali.
I lavoratori pakistani, che nella mattina di lunedì 8 luglio hanno messo in scena un nuovo sit in di fronte alla Coop di via Valentini hanno raccolto la solidarietà della sede fiorentina del partito ‘Potere al Popolo’. Ma la risposta dell’azienda ai manifestanti non si è fatta attendere. “La motivazione della protesta è assolutamente priva di ogni reale riferimento a inadempimenti di accordi sindacali aziendali”. Panificio Toscano sostiene che la protesta sia “strumentale”, in quanto “l’azienda ha dato attuazione all’accordo sottoscritto con i CGIL e UIL nel settembre 2018, nel pieno rispetto dei numeri e delle date previste”.
La protesta di parte dei dipendenti Panificio Toscano è simile a quelle che Sì Cobas sta mettendo in atto in questi mesi, ma è simbolica perché riapre la questione su come diversamente i sindacati dei lavoratori affrontino i problemi sistemici in città.