Quanto è lungo un anno e mezzo? Un anno e mezzo sono sei stagioni che si susseguono una dopo l’altra, 550 giorni e 550 notti. Cosa si prova a vivere costretti in casa, come se fosse un vera prigione, senza aver commesso alcun reato? Come si riesce a non impazzire? Solo oggi Anna potrebbe rispondere a queste domande. Anna non conosceva la città di Prato, il suo quartiere e nemmeno il nome della via dove abitava. Non conosceva niente al di là delle quattro mura della casa perché restava chiusa in casa per tutto il giorno, tutti i giorni. Non per sua scelta: Marco la chiudeva a chiave prima di andare a lavorare o quando doveva uscire, segregandola per un anno e mezzo. Un matrimonio, il loro, combinato nel suo Paese di origine, senza nemmeno conoscersi: «Andrai in Italia e potrai continuare i tuoi studi, trovarti un lavoro e diventare una grande donna, lui è un uomo importante che ha tante conoscenze», le diceva la sua famiglia.


Piena di speranze e sogni si era convinta. Pochi giorni dopo il suo arrivo non solo le viene vietato di uscire di casa, fare la spesa o qualsiasi altra commissione, ma le è anche proibito di affacciarsi al balcone di casa, dove si trova la lavatrice. Anna ha studiato, parla benissimo inglese e francese, ma non l’italiano. Non si è mai ribellata ai soprusi del marito per paura di eventuali ritorsioni sulla sua famiglia in patria, visto l’importanza che l’uomo ha nella comunità del suo Paese a Prato. Inizialmente non racconta neanche a sua madre la situazione in cui era costretta a vivere, unica persona con cui le era concesso di parlare. Un giorno si fa coraggio e decide di raccontare tutto: quell’incubo doveva finire, per lei e per suo figlio, nato da pochi mesi.

Con un grande lavoro di ricerca, insieme alla madre riescono a mettersi in contatto con una lontana amica di famiglia che lavora come badante a Firenze. Con non poca fatica la signora riesce a capire dove si trova la casa di Anna e da una piccola finestra riesce a farsi lanciare alcuni bigliettini su cui era denunciata la situazione in cui viveva. Con queste missive si presenta alla polizia che un giorno, appurata l’assenza del marito in casa, sfonda la porta e libera Anna e il piccolo. Anna si rifugia in una delle strutture del Centro Antiviolenza “La Nara”, mentre per Marco inizia un processo per sequestro di persona e maltrattamenti. Passa il tempo e Anna prende la decisione di tornare al suo Paese di origine: «I miei genitori mi hanno già comprato i biglietti dell’aereo, partirò presto», dice alle assistenti che la stanno seguendo. Di lei si perdono le tracce per anni, fino al giorno in cui non si ripresenterà alla porta del centro antiviolenza di Prato per raccontare tutta la verità. I biglietti non erano stati comprati dai genitori, ma dalla comunità pratese d’origine per allontanarla dal marito e non infangare il suo nome. Pochi mesi dopo era stata costretta a tornare in Italia per delle questioni burocratiche legate al bambino e, mentre era ospite di una sua amica, ha ricevuto pesanti pressioni per ritrattare quello che aveva detto durante il processo contro Marco. Presa dalla paura, di fronte al giudice e con alcuni amici del marito presenti in aula, Anna decide di ritrattare tutto quello aveva denunciato. «È cambiato, ha capito di avere sbagliato, devi perdonarlo», le avevano detto. Non ha contatti diretti con Marco se non un paio di volte a telefono: «È stata l’unica volta nella mia vita che mi ha detto che mi amava, chiedendomi di dargli una seconda possibilità». E così è stato.
Anna torna a stare a casa di Marco col figlio, la situazione sembrava davvero cambiata. Per un po’ è potuta uscire di casa da sola, andare a fare la spesa, vedere qualche amica, iniziare un corso di italiano, convinta che imparare la lingua fosse uno strumento di indipendenza. La tregua dura solo tre mesi: in poco tempo Marco riesce ad impadronirsi di Anna ancora una volta. Non la chiude in casa ma le ordina sempre come vestirsi, chi incontrare e chi no, le conta i soldi che spende trattenendole quelli che la sua famiglia le invia. Esasperata, coglie l’occasione di un viaggio all’estero di Marco per intavolare le carte per il divorzio, che non riuscirà a concludere. La violenza verbale e fisica diventano quotidiane: una sera la costringe a un rapporto sessuale senza il suo consenso. In due occasioni riesce anche a chiamare la polizia: una volta da casa, dove anche la testimonianza del bambino riesce ad aiutarla, e una seconda di fronte alla scuola di italiano, aiutata dai docenti. Scatta una nuova denuncia, ma ormai Anna non riesce più a vivere in città e decide di prendere il bambino e tornare dalla sua famiglia, questa volta per sempre.

La pubblicazione della storia è stata autorizzata,   garantendo anonimato e non riconoscibilità.

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