«Sono la mamma del diavolo in persona» continua a pensare Anna mentre finisce di fare l’orlo ai pantaloni della vicina con la sua macchina da cucire. Anche se ha più di 77 anni, continua ancora a fare qualche lavoretto. Qualche soldo in più oltre alla pensione le fanno comodo per comprare le medicine e sfamare due bocche, la sua e quella di suo figlio Marco che vive insieme a lei. Perché Marco non lavora, anche se la sua giornata ha ritmi regolari: si alza tutte le mattine tardi, esce e poi ritorna a casa per il pranzo; il pomeriggio torna a dormire due ore, esce di nuovo e si ripresenta per cena. La moglie e il figlio non lo vogliono più vedere e trova sempre un’occasione per bere. «È uguale a suo padre», racconta la madre.
Anna si è sposata con l’uomo che amava a 24 anni; sono bastati pochi mesi per accorgersi della dipendenza dall’alcool che non lo lasciava mai solo. Mai alzato le mani, ma spesso si è trovata a dover portare avanti la famiglia da sola, schivando le angherie di un uomo ubriaco. La prima gravidanza e il dover badare da sola ad una figlia piccola, oltre che al marito, la fanno cadere in una profonda depressione. I familiari di lui e il medico curante la fanno ricoverare all’ospedale psichiatrico di San Salvi a Firenze dove, tra varie terapie, per alcuni mesi viene sottoposta anche a sedute di elettroshock. Dimessa, torna a casa. Sembra che il marito abbia diminuito drasticamente col bere, o almeno così è stato fino alla seconda gravidanza, quella che ha fatto nascere il secondo figlio, Marco. Seguono quindici anni di incontri presso il centro di aiuto per alcolisti a cui lei partecipa al fianco del marito, che è determinato a smettere in modo definitivo. La salute però si aggrava e qualche anno più tardi lui muore a causa di una grave cirrosi epatica. Gli ultimi anni li ricorda ancora oggi come i migliori della loro relazione, grazie al percorso affrontato insieme per tenere il più lontano possibile quelle bottiglie dalla loro vita.
Anna però adesso deve sforzarsi ancora una volta da sola di rimettere insieme i pezzi di una famiglia devastata. Mentre la figlia maggiore si allontana, è Marco adesso che inizia a bere, si sposa e ha un figlio.
Una sera una volante dei carabinieri lo ferma ubriaco col piccolo a bordo: per questo motivo viene allontanato dalla famiglia e non ha altro posto dove andare se non la casa di sua madre. «È uguale a suo padre, aiutatemi ad aiutarlo» ripete Anna quando si rivolge per la prima volta al centro antiviolenza La Nara. Ma Marco non è suo padre: non ha alcuna voglia di farsi aiutare, di seguire un percorso per smettere di bere come aveva fatto lui o trovare un lavoro che lo aiuti a pagare gli alimenti per il figlio; anzi, cerca in tutti i modi di vendicarsi nei confronti di una madre che, come le urla in faccia tutti i giorni, gli ha rovinato la vita. «Me la devi pagare, ti distruggo la testa, non pago gli alimenti almeno poi ti verranno a pignorare la casa»: quando torna a casa ubriaco è il diavolo, non le mette mai le mani addosso, ma fa di tutto per mortificarla. Lei cerca di fare quel che può, coi pochi soldi di pensione e qualche lavoretto, gli compra i vestiti e le scarpe, ma lui li prende e li butta via dopo averli tagliati con un paio di forbici da cucina. Centellina i soldi per evitare che acquisti altro alcool quando esce, ma lui trova sempre il modo di tornare a casa ubriaco.
Anna vive in un costante clima di terrore ed impotenza per un figlio «povero diavolo» che non trova pace: «Non voglio denunciarlo, se poi finisce in mezzo a una strada, cosa fa? Credete che starei meglio?» dice la donna, che con gli anni finisce per rimetterci pure la salute. Le mani iniziano a tremarle ed è costretta a smettere di cucire, si ammala di una serie di patologie legate allo stress e, infine, viene colpita da un tumore. Per evitare il figlio ubriaco molto spesso si chiude a chiave in camera sua, ma non per questo si stanca di cercare una soluzione o un’occasione di lavoro per Marco che, puntualmente, non si presenta ai colloqui da lei organizzati. «Ho pure pensato di vendere la casa per dargli i soldi che gli spetterebbero, ma tanto so che li spenderebbe tutti in poche settimane».
Nel quartiere conoscono la situazione e col tempo iniziano tutti ad evitarla, lasciandola sempre più sola. La sua unica compagnia è un piccolo cane che Marco le aveva portato in casa quando si era trasferito. «È la mia guardia del corpo, senza di lui sarei impazzita». Nell’ultimo periodo si riavvicina alla figlia, che non aveva più voluto sapere nulla di Anna da quando aveva riaccolto Marco in casa. Adesso vive da lei, cercando di riconquistarsi negli ultimi anni di vita un po’ di quella serenità che le è stata tolta fin da ragazza.
La pubblicazione della storia è stata autorizzata, garantendo anonimato e non riconoscibilità.
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