La mia quarantena può dirsi fortunata, perché solitamente al lavoro faccio i turni, e quindi ho di norma molte giornate libere che passo nella mia vecchia officina di quando ero artigiano a prendimi cura delle mie moto e a fare piccoli lavori. Oggi, queste giornate scorrono nello stesso identico modo di quelle di qualche tempo fa, con la sola differenza che non passa più a trovarmi nessuno.
Sono riuscito a far stare in casa mio padre a forza di spedirgli video e notizie allarmistiche di gente morta o dei rischi di contagio. Il colpo di grazia è stato un video di un signore che sfoglia un quotidiano di Bergamo, prima in una edizione di gennaio con una pagina e mezzo di morti e poi quella del giorno corrente di marzo con più di dieci pagine di morti. Molti degli annunci sono con foto, è chiaro che è tutta gente della sua età. Mi ha risposto con una bestemmia, secca, senza nient'altro a smorzarla, la prima che mi scrive per messaggio. Non è molto che ha WhatsApp, ma neanche pochissimo, e ancora non era arrivato a questo.
Per mia madre è diverso, altro carattere. Riesce benissimo a stare in casa, anche perché già di suo ci sta tantissimo. Vado a fargli la spesa, gliela porto e ci incontriamo fuori, gliela lascio sul tavolo del giardino, scambiamo due parole a diversi metri di distanza e torno da dove sono venuto.
Stasera ci siamo videochiamati, non l’abbiamo mai fatto nemmeno quando sono in ferie. Mi è sembrato di essere dall’altra parte del mondo ma se faccio un rutto dal balcone di casa molto probabilmente mi sentono.
Mia nonna ha quasi cent’anni, sta bene per quanto si può stare bene a quell’età, e non si rende conto bene della situazione. Oggi l’ho chiamata e dice di stare bene, era felice di sentirmi. Mia zia però è un po’ preoccupata perché alcuni parametri non sono ottimali, ma niente da ricollegare al virus. Solo che lei nella vita è infermiera, lavora a Careggi e ha una gran paura di portare a casa il virus. Dice che là è un lazzaretto, stanno convertendo tutti i reparti di medicina in reparti per le persone in attesa dei risultati del tampone, mignolano le mascherine non chirurgiche perché non sanno nemmeno loro quante gliene serviranno. Io vivo nel terrore che, se succedesse il peggio, non potremo nemmeno rivederci.
A lavorare hanno raddoppiato la durata dei turni per dimezzare i viaggi avanti e indietro e gli incontri con i colleghi con i quali ci diamo il cambio, il risultato è che sto ancora di più a casa, dove le giornate, fino ad ora, sono scorse tranquille. Non abito in città, e in questo momento è un lusso. Lo dico perché è più semplice isolarsi, c'è meno gente in giro, la spesa è più agevole, insomma ci si arrangia meglio. Domani però saranno 15 giorni dall’ultima volta che ho visto gli amici. Mancano, manca l’abitudine che esiste da una vita. Arriva la fine della settimana e si esce, sapendo che qualcuno con cui si sta bene si incontrerà di sicuro. Per adesso vivo bene la quarantena, perché riesco ad avere un distacco da queste cose grazie al senso di responsabilità che per fortuna sovrasta le mie abitudini, ma fra un po’ come sarà?
Viviamo nella città italiana con la comunità cinese più grande di tutti, e ce la stiamo cavando molto meglio di tanti altri. Pensiamo ai lucchesi, toscani per sbaglio e democristiani per natura, non hanno un cinese neanche a pagarlo e stanno peggio di tutti in Toscana. Noi, pieni di cinesi comunisti, ci siamo salvati grazie alla loro rettitudine e alla nostra sedentarietà.
Spesso penso a quanto fragile è la società, discorsi del tipo “se arrivasse un virus” erano rimaste ipotesi catastrofiche generate da prese di coscienza saltuarie, a volte date da momenti di relax estremi, quando la sbronza ti fa sentire Piero Angela, ma la preoccupazione reale non veniva mai presa in considerazione, perché "se fosse e se credessi è il patrimon’ de’ fessi", come dice sempre la mi’ nonna. Ora invece ci siamo, e ci tocca pensare per forza.
Ora, conscio che durerà di più di quanto spero, vorrei avere i miei giradischi che ho prestato tempo addietro per fare un bel dj set in diretta Facebook, come fanno tutti i dj che conosco, in modo da rimettermi ad ascoltare un po’ della musica che negli anni passati ho portato con me quotidianamente, e avere l’ennesimo spunto per sentire qualche amico, perché i social adesso servono davvero per sentirci vicini.
Lo slogan di Facebook recita “Facebook ti aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita”, o dagli torto adesso.
Venerdì scorso lavoravo di notte, la mia compagna da casa si è vista su Hangouts con altri amici, quelli che di solito incontriamo il venerdì alla Piccola Birreria di Prato. Cose che qui da noi fanno i quindicenni, o dall’altra parte del mondo i cinesi, che di sicuro hanno meno problemi di noi nel gestire questi eventi, perché nonostante siano un’infinità di persone, vivono una vita sociale molto più isolata di noi. Questa influenza è arrivata dall’Asia, e ci ha resi asiatici nelle abitudini.
È incredibile.
Luca Taiti
Vigile del Fuoco