Le aree metropolitane sono luoghi particolari, dicono all'Onu. E non solo perché sono giganteschi crocevia di opportunità e di sviluppo. Sono particolari perché occupano poco spazio (3% della superficie terrestre) ma portano sulle spalle due fardelli giganteschi al tempo del cambiamento climatico: il consumo energetico spropositato (60-80% del totale) e la responsabilità del 75% delle emissioni totali di carbonio. Le auto, le fabbriche, i condizionatori, le stufe, le caldaie e decine di altre cose che producono anidride carbonica sono tutte lì. E il problema, sostengono ancora, è che sempre più persone si sposteranno nelle grandi aree urbane: era il 55% della popolazione mondiale nel 2018, sarà il 68% nel 2050, con gli indiani che supereranno di numero i cinesi e con le grandi aree urbane dell'Africa e dell'Asia che diventeranno le più popolose del globo.

Politiche locali per cambiamenti globali

La gestione delle grandi aree metropolitane dei paesi in via di sviluppo diventa quindi una priorità per non trasformarle in luoghi ancora più malsani per le persone e ancora più dannosi per il pianeta. Cosa c'entrano questi numeri con Prato? All'apparenza poco o niente. In realtà invece molto, visto che il nuovo piano operativo pesca a piene mani da questi trend per ripensare e gestire lo sviluppo della città.
In Europa, per rendere meglio l'idea, siamo "stretti": il 74% della popolazione vive nelle aree urbane. E in Italia, dice uno studio di Wwf e Università dell'Aquila del 2017, gli ultimi 50 anni hanno visto le sue 14 aree metropolitane più che triplicare la propria superficie urbanizzata. È un'allegra valanga di cemento quella che ci ha permesso di diventare il paese e il continente che siamo, e inevitabilmente si porta dietro conseguenze comuni a tutti gli stati membri dell'Unione Europea. Se a questo aggiungiamo le cifre, le prospettive e le politiche in arrivo a causa del pericolo legato al cambiamento climatico, il quadro diventa ancora più chiaro. Così si può dire che il nuovo piano operativo del Comune di Prato intercetti questi studi e recepisca anche le indicazioni del Patto di Amsterdam (2016), quello con il quale la Ue ha messo al centro delle proprie politiche le città e il loro sviluppo, e in quella direzione si muova deciso soprattutto per quanto riguarda le tematiche ambientali e di sostenibilità. Ora: se pensando alla congestione cementizia nella quale da decenni si dibattono i pratesi sale un po' di sollievo e anche, inevitabile, pure una punta di scetticismo, bisogna considerare che per la prima volta la politica cittadina ha fatto della vegetazione come veicolo di benessere e di riqualificazione uno dei caposaldi del proprio sviluppo urbanistico. Nonostante ogni possibile complicazione, un approccio che sembra destinato davvero a cambiare volto alla città e alla vita dei suoi abitanti.

Forestazione Urbana

Il tema che ha portato la città di Prato su molti giornali nazionali e internazionali prende ispirazione anche dal lavoro dell'architetto Stefano Boeri e del neurobiologo StefanoMancuso, che hanno lavorato a lungo su Prato facendone un caso di studio. Per "forestazione urbana" s'intende "un approccio integrato, interdisciplinare, partecipativo e strategico per la pianificazione e la gestione di foreste e alberi nelle città e nelle aree circostanti" (Fao, Guidelines on urban and peri-urban forestry 2016). Che poi, stando alla relazione generale del piano operativo, oltre a combattere le cause del cambiamento climatico e a migliorare la salute degli abitanti, la forestazione urbana sarebbe anche capace di attrarre un maggior numero di turisti e di aziende interessate alla sostenibilità. Il nuovo piano operativo comprende e amplia progetti avviati già nel 2015 come il sottopasso, il parco centrale, quello fluviale e la riqualificazione delle piazze e del Macrolotto Zero: rientrano tutti nella strategia complessiva della forestazione urbana. In sede di stesura del piano Mancuso ha pure realizzato uno studio sugli alberi presenti a Prato e sui loro benefici all'ambiente circostante, mentre Boeri ha proprio redatto un "action plan" per la forestazione, un vero e proprio strumento di indirizzo per l'uso degli alberi e della vegetazione per lo sviluppo della città. Sul Bisenzio, valorizzando ancora di più il parco fluviale e il reticolo delle gore (rientrate in possesso del Comune nel luglio scorso); lungo le infrastrutture, dove l'utilizzo di alberi ad alto fusto mitigherebbe a livello ambientale e acustico l'autostrada, la ferrovia e la Declassata; definendo e realizzando un sistema di grandi parchi collegati tra loro, che attraversi e circondi la città - come quello immaginato tra il parco centrale e quello di San Paolo giù fino a Capezzana. E poi, ancora, "demineralizzando" le aree urbane con tetti ed edifici ricoperti di verde, con la rimozione dei materiali impermeabili e così via fino alla valorizzazione di un parco agricolo di cintura intorno alla città, la costruzione di nuovi edifici in cambio di aree verdi (compensazione) o l'utilizzo di acqua di falda per uso energetico. Suggerimenti che costituiscono, si legge nella relazione, "un palinsento, un progetto che disponendo del solo potere di indirizzo e non avendo potenziali finanziamenti, necessita di un'attenta comunicazione ai soggetti pubblici e privati". Proprio per questo il riconoscimento europeo ottenuto dal progetto "Prato Giungla Urbana" del Comune (3,7 milioni di euro) ha suscitato tanto entusiasmo, all'inizio del mese d'agosto. Tra il prossimo mese di settembre e il 2022, la città di Prato dovrà infatti sperimentare nuove soluzioni facilmente replicabili nell'applicazione dei principi della forestazione urbana e dello sviluppo sostenibile in generale. "Prato Giunga Urbana" è la miccia con la quale si vuole innescare un cambiamento più grande.

Prato Giungla Urbana

«Le nostre città sono ancora costruite secondo un concetto del tutto medievale: le circondavamo di mura per separarci dai nemici, da una natura anche ostile - raccontava il neurobiologo Stefano Mancuso in un'intervista a TvPrato del giugno scorso - Abbiamo sempre creato le città come un luogo diverso e completamente separato, non permeabile alla natura circostante. Oggi è tempo di capire questo errore e di far rientrare la natura in città a pieno titolo, che ne sia parte integrante, perché noi ci siamo evoluti insieme alle piante e potremo continuare a sopravvivere solo insieme a loro».

Il Comune di Prato rincorreva da anni l'Urban Innovative Actions. Perché è una delle poche iniziative europee a finanziare direttamente le città senza intermediari e, dettaglio non da poco, permette ad una città di diventare protagonista nel campo della sperimentazione nello sviluppo sostenibile delle aree urbane. Così è nato il progetto "Giungla Urbana": l'idea di prendere «zone della città che al momento sono del tutto prive di verde o abbiano una quantità insufficiente di verde e creare, per la prima volta a livello mondiale, un'esperienza di giungla urbana», spiegò Mancuso in quella stessa occasione. Che tradotto ai profani non ha nulla a che vedere con le liane ma semplicemente significa aumentare a dismisura la densità verde di una zona. Riempirla, letteralmente, di piante. Il progetto, desunto dal piano operativo, è stato quindi presentato insieme a un team di valore e dalle competenze riconosciute a livello internazionale. La start up dello stesso Stefano Mancuso (Pnat) e lo studio d'architettura di Stefano Boeri, il Cnr, Estra, Legambiente e due start up che promuovono uno stile di vita sostenibile attraverso un social network (greenapes.com) e favorendo la piantumazione di alberi (treedom.net). Occorre a questo punto sgomberare il campo da un dubbio che sicuramente è venuto a molti. Il riconoscimento europeo al progetto "Giungla Urbana" non significa che tra qualche mese, di punto in bianco, i tetti e le facciate di Prato cominceranno a riempirsi di alberi e di piante. Non è una cosa così semplice e immediata come potrebbe sembrare. E soprattutto non è un'iniziativa una tantum del Comune. O almeno non dovrebbe esserlo.

L'assessore all'urbanistica Valerio Barberis dice infatti che «È una sfida vera e propria: in meno di tre anni dovremo trovare tecnologie e sistemi che permettano di usare piante su edifici già costruiti, trasformando così le città in ambienti più sani e soprattutto in soggetti attivi contro il cambiamento climatico. Tecnologie e sistemi replicabili in qualsiasi altra città». Perché se è facile progettare un nuovo edificio con facciate e tetti ricoperti di alberi e piante, è molto più complicato intervenire su quegli edifici costruiti con materiali differenti e in epoche diverse di cui sono composte le città di oggi.

Prato e le altre

Diviso in quattro sezioni, il quarto bando per le Innovative Urban Actions ha premiato i progetti di altre cinque città italiane: Milano, Latina, Torino, Ravenna e Bergamo. Milano (sezione Povertà Urbana) ha visto finanziato il progetto "Wish MI" con cui intende migliorare la coesione sociale e soprattutto le condizioni di 225 mila minori in condizioni di difficoltà. Anche il progetto di Bergamo riguarda i minori, di cui si cercherà di combattere la povertà educativa anche con operazioni di co-housing. Dedicato alla sicurezza urbana è invece il progetto che finanziato alla città di Torino: riqualificazione di siti degradati, sviluppo di reti commerciali dal basso per aumentare la percezione di sicurezza e la qualità della vita dell'intera comunità. Grandi progetti ha poi Ravenna per la sua Darsena (sezione Transizione Digitale): la creazione di un ambiente digitale che permetta di raccogliere dati e contenuti (un sito ndr), diffondere la cultura digitale e sviluppare connessioni tra pubblico e privato sulla base delle esigenze dei cittadini. Infine arriviamo a Latina, che con la città di Prato condivide la sezione dedicata all'utilizzo sostenibile del suolo. Il progetto di Latina (Upper) prevede la realizzazione di tre parchi, su altrettante aree dismesse dell'area urbana, dedicati alla ricerca e allo sviluppo di soluzioni e di servizi basati sulla natura. I parchi, a Prato, il Comune ha pensato bene di farli da solo e passare oltre, ad una sperimentazione che punta a trovare soluzioni che siano valide per tutti. Prato Giungla Urbana coinvolge tre edifici dalle funzioni diverse, due pubblici e uno privato. Quello privato è la sede di Estra lungo la Declassata, la cui copertura verde servirà probabilmente a testare l'effetto delle piante sullo smog rilasciato dal passaggio di circa 50 mila veicoli al giorno. Il secondo e più piccolo sarà la sede di Save The Children nel Macrolotto Zero. La sperimentazione comincerà però dal terzo edificio, il più grande e complicato. Si tratta dei 152 appartamenti popolari di San Giusto. Quasi 900 mila metri quadrati su cui fin da subito verrà avviata la sperimentazione. «Dobbiamo cambiare le abitudini dei cittadini, far maturare consapevolezze e conoscenze nuove. Per questo motivo una gran parte del lavoro sarà occupata dalla didattica e dalla comunicazione – conclude Barberis – non solo riempire di vegetazione la nostra città ma capire l'effetto che questa ha sull'ambiente intorno, sviluppare modelli di gestione del verde da parte dei cittadini, capirne le problematiche e i costi, trovare delle soluzioni replicabili ovunque». "Prato Giungla Urbana" sembra dunque un progetto dalla duplice finalità: da una parte la sfida con la quale s'intende individuare modelli e buone pratiche replicabili (enti pubblici, privati) per la gestione della trasformazione "verde" delle città; dall'altra, e forse è questa la vera complicazione di tutto il processo, la sfida di educare i cittadini a diventare soggetti attivi nella cura e nella gestione del proprio ambiente.

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