Forse ricordate anche voi come questa tragedia dell'epidemia avrebbe dovuto cambiare le nostre vite di tutti i giorni. Non stiamo parlando delle morti dovute al virus e nemmeno della crisi economica generata dalle chiusure ma delle conseguenze pratiche che avrebbe dovuto avere sui nostri comportamenti e il nostro modo di vivere, di lavorare, di divertirci e pure di cenare fuori casa.
Non è ancora finita, è ovvio, ma di quella tensione iniziale non sembra esserci più traccia e di cambiamenti, quelli sani, quelli che approfittando della situazione avrebbero dovuto farci vivere meglio, se ne vedono davvero pochi. Eppure la pandemia esigeva, ci ripeterono per mesi, una nuova organizzazione degli spazi, del nostro modo di muoverci e di gestire gli spostamenti, avrebbe addirittura cambiato il nostro modo di abitare gli ambienti, macché dico, avrebbe trasformato proprio l'architettura! Poi è andata com'è andata – un po' allo sbaraglio, diciamo – e della parte sana di quella voglia di cambiare abitudini si sono perse un po' le tracce.
Ma l'altra mattina mi sono reso conto di un cambiamento epocale: non c'è più alcuna ressa davanti alla scuola elementare di mio figlio. Non si deve più sgomitare, sbracciarsi o conquistare una posizione sopraelevata dalla quale dominare la folla di genitori per farsi vedere dalla maestra all'uscita della scuola. E la mattina, in poche file ordinate, i bambini vengono fatti entrare in classe dal loro ingresso prestabilito ad scaglionati e senza ritardi. Sono tre mesi che ne sono testimone e non avevo considerato la portata di questi piccoli accorgimenti per i nervi dei genitori.
Che non si torni più indietro, per favore.
La prima versione di questo articolo è stato inviato agli iscritti di Quaderno Pratese. Scopri come funziona.