Vivo da solo e sono un padre separato con una figlia minorenne.

Nell’attuale situazione, questo fa di me un testimone privilegiato: quando vado a prendere l’auto, a volte parcheggiata fuori le mura, attraverso a piedi un pezzo di centro storico e poi, con l’auto, un paio di zone residenziali e posso guardare la città come onestamente non l’ho mai vista.

Domenica sera parcheggio lungo via Pomeria, sono le sette e non passa nessuno, il sole è ormai tramontato, e c’è vento, non molto freddo a dire il vero, ma nemmeno ancora primaverile. Quello che colpisce è il silenzio: è il silenzio delle tre e mezza di notte ma è una domenica sera, è un silenzio enorme e fuori luogo. Poi c’è l’aria: è semplicemente più buona, e quindi anche i colori del cielo, questa linea rossastra che borda l’orizzonte e la notte sopraggiunta.

Passo le mie giornate a casa, porto giù la spazzatura negli orari del porta a porta, sposto l’auto per la pulizia delle strade, vado al supermercato una volta a settimana e un paio di volte a comprare il pane da Uscio e Bottega, magari qualche verdura che nel frattempo ho finito. Mi metto in fila; le persone davanti a me si dividono invariabilmente in due grandi gruppi: quelli che ti guardano male ma in realtà è più uno sguardo spaventato o allucinato, in qualche caso sospettoso. E quelli che ti sorridono subito, a cui brillano gli occhi, magari han voglia di dire due parole. E a distanza di sicurezza parlo e, soprattutto, ascolto. “Passerà”, “speriamo bene, su”, “bisogna aver pazienza”, un “mah” accompagnato da un sorriso un po’ triste o magari un po’ stanco.

Sui social leggo che è pieno di gente che se ne sbatte di stare in casa. C’è stato un giorno in cui sulla ciclabile era davvero pieno di troppa gente a passeggiare e ho in effetti provato un forte senso di disagio, ma nessuna rabbia: ho pensato che probabilmente non hanno capito la serietà della situazione, magari pensano “ma tanto che cosa faccio di male se esco mezz’ora”. Dopo dieci giorni, nel centro di Prato, di persone se ne vedono poche: sguardo basso, passo molto svelto, quasi tutti con la mascherina, che non serve a proteggersi ma va bene uguale.

In questa situazione io non sto male, sono preoccupato per chi si ammala, per le persone a me care che potrebbero stare male, ma non ho davvero pensieri a vivere in auto-isolamento. Ho una vicina di casa che tutti i giorni si esercita nel bel canto. La sentivo anche prima, a volte,  ma mi capitava di rado di essere in casa nei suoi orari di esercizi vocali: mi piace. Sento anche le ambulanze a sirene spiegate passare probabilmente dall’ospedale vecchio, e andare verso la tangenziale, o viceversa. Sono abituato a stare solo giorni e giorni e a parlare poco; anche se mi mancano gli abbracci e i sorrisi da vicino, so che tutto questo passerà. Mi concedo di ascoltarmi e cercare di capire come rendere questa esperienza un’opportunità.

Poi ho visto su Twitter quella foto di camion militari pieni di bare e oggi ho fatto una cosa che non ho fatto mai in tutta la mia vita. Oggi ho iniziato a bestemmiare.

Simone Martelli
Consulente commerciale, scrittore wannabe

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