Valeria Parrella si conferma ancora una volta una delle voci narrative più interessanti del panorama letterario italiano. Con il nuovo libro, Almarina (Einaudi editore, pp. 184, 17 euro ), ci regala un’altra delle sue storie potenti, una vicenda ricca di tenerezza e di amore. Dal carcere minorile di Nisida si vede Napoli e soprattutto si vede il mare. La protagonista del romanzo Elisabetta, 50enne vedova, è l’insegnante del carcere. Ogni giorno risale da Napoli fino a Nisida, ogni giorno per entrare si spoglia degli oggetti personali, il telefono, il tempo del fuori, il passato. Ogni giorno Elisabetta sceglie di stare in una dimensione pedagogica e umana delicata, al cospetto di ragazze e ragazzi che abitano il capovolto mondo del penitenziario. La scuola, quella più impegnata e impegnativa - come lo erano state quelle di "Spazio Bianco" e "Tempo di imparare" - è senza dubbio uno degli elementi centrali del romanzo e Almarina, giovane detenuta, impara la matematica e legge Gramsci fino a trovare fiducia e speranza di un riscatto in una vita che è stata con lei spietata e violenta.
“Io penso sempre che ce la possono fare tutti. Pure quelli che tengono la merda al posto del cervello e vogliono, desiderano morire sparati, quelli che non vedono l’ora di tornare per strada, io penso sempre che ce la possono fare tutti”. La città e il carcere, il fuori e il dentro di Elisabetta e di Almarina si incontrano in uno spazio d’amore, in un destino di relazione. L’altro tema caro a Parrella che scorre come un fil rouge in molti suoi libri è infatti la maternità, nei suoi aspetti più complessi e a volte indicibili e qui la ritroviamo nella sua forma più solidale, quella dell’affido familiare e dell'adozione. Una relazione che libera e restituisce vita. Quel mare che si vede dal carcere si fa allora porto sicuro e aperto e Almarina va letto, in questo momento storico, come manifesto politico di un posizionamento dalla parte dei più deboli, come un appello all’accoglienza e all'apertura verso il prossimo.