Nonostante viva a Prato da dieci anni e la frequenti da 25 considerandola ormai a tutti gli effetti la mia città, spesso fatico a sentirla tale a causa dell'atteggiamento generale che mi circonda. È un sorrisetto appena accennato quando si parla di un evento passato di cui non conoscevamo l'esistenza, l'alzata di spalle di fronte a un proverbio o a un modo di dire che non abbiamo mai sentito, lo sguardo scettico quando si affrontano certe dinamiche sociali, politiche ed economiche che invece, sembrerebbe dirci quello sguardo, dovremmo conoscere molto bene. Questa è una specie di confessione non richiesta che serve a introdurre il tema principale del travagliato numero di Quaderno Pratese in edicola. I numeri su chi arriva nella nostra città e su chi invece decide di lasciarla andando a vivere altrove. Quand'è esattamente che qualcuno trasferitosi in città può considerarsi pratese?
Guardate i numeri delle persone che ogni anno decidono di lasciare Prato e tutti quelli che invece la scelgono. Migliaia di persone, in un senso e nell'altro. Dall'altra parte, chi va via quando smette di esserlo? Domande molto difficili cui rispondere, e soprattutto inutili. Ci sembra infatti che in questo caso, e una volta per tutte, la realtà sia molto più semplice di come viene raccontata e spesso vissuta dalla maggioranza delle persone. L'appartenenza è una questione personale, non oggettiva, non solo formale. Per questo siamo convinti che si diventi pratesi, o milanesi, o fiorentini o napoletani, quando decidiamo di vivere in quella città per qualche motivo. Quando cominciamo a guardarci intorno per cercare casa, quando decidiamo di mettere al mondo dei figli, quando accettiamo un lavoro, quando cominciamo a preoccuparci che quello che ci circonda sia davvero come lo vogliamo.
Per questo motivo abbiamo deciso di mettere in fila un po' di dati su chi abbandona e chi arriva nella nostra provincia. Accanto a questi dati abbiamo disposto delle storie, che sono solo le prime, non esaustive storie di un fenomeno che è lo stesso in ogni città del mondo e ci parla ancora una volta di futuro, di quello che vogliamo e vorremmo per noi stessi, la nostra famiglia, i nostri figli. Ci parla delle nostre aspirazioni più recondite, perché cambiare città o paese significa cambiare vita, totalmente, e non è un passo che si compie a cuor leggero. E poi affrontiamo un argomento che non possiamo non definire una vera e propria coltellata all'orgoglio e alle dinamiche economiche del distretto: la chiusura del BuzziLab. Giorgio Bernardini ricostruisce gli ultimi eventi con la precisa intenzione di non cercare a tutti i costi risposte ma di fornire invece quante più informazioni possibili perché ogni lettore possa farsi un'idea su una vicenda che è tutt'altro che conclusa.
Questo, dicevamo, è stato un numero alquanto travagliato. Falcidiati dai malanni di stagione, incasinati ognuno con la propria vita e le proprie incombenze - i giornalisti sono persone identiche a tutte le altre - ci siamo ritrovati a dover stravolgere la rivista all'ultimo minuto. Non siete abituati a leggere cose del genere sulle altre testate. Noi ne parliamo in modo sistematico perché ci sentiamo degli artigiani e non condividiamo una virgola di un mondo - quello di alcuni nostri colleghi - che veleggia intoccabile a due metri da terra e che rifiuta di ammetere i propri errori anche di fronte all'evidenza. Su QP troverete degli errori ma troverete sempre, questo potete darlo per certo, l'onestà di ammetterli e l'umiltà di saper chiedere scusa. Scusate la digressione ma siamo convinti che questo sia un concetto sempre più importante nel rapporto tra giornalisti e lettori al tempo della morte annunciata dei giornali. Su questo numero c'è poi un pezzo firmato da Silvia Gambi dedicato allo stato di salute della popolazione pratese: stiamo decentemente, verrebbe da dire, ma con alcune peculiarità da tenere in conto per il prossimo futuro e alcune ombre su cui sembra necessario lavorare in modo deciso. Quindi introduciamo un argomento molto più delicato di quello che potrebbe sembrare, a Prato ma ci viene da dire anche nel resto d'Italia. Gli sperimentatori. Figure per niente canoniche, artisti che creano ai margini o addirittura lontanissimi dai gusti del mercato mainstream ma che, forse proprio per questo, si fanno portatori di sguardi altri sul mondo e sulle cose che sarebbe ingiusto ignorare.
Non mancano infine le rubriche cui vi abbiamo abituato negli ultimi tempi. Questa volta, per esempio, Urano Corsi ha creato un vero e proprio almanacco dei giochi giocati una volta a Prato. E poi c'è "Anna e Marco", con un'altra storia sottile e devastante di violenza sulle donne a Prato. Ma il nuovo anno ci impone delle considerazioni aggiuntive. Così, se dovessimo cedere alla tentazione di formulare un desiderio per l'anno appena cominciato, sarebbe questo: riuscire a fare al meglio il nostro mestiere in modo che Quaderno Pratese si diffonda sempre più e venga riconosciuto per quel che è: una voce nuova e diversa nel panorama dell'informazione cittadina. Se invece ci venisse chiesto di fare un augurio alla città, questo riguardarebbe senza dubbio il buco nero del lavoro e la necessità di intervenire in modo sistematico alla sua regolamentazione. Per la prima volta, nei mesi scorsi, è arrivata proprio a Prato una condanna in primo grado per sfruttamento del lavoro (ex art. 603 bis). Una legge che esiste dal 2016 e che punisce non solo i caporali ma anche i datori che danno lavoro in condizioni di sfruttamento approfittando dello stato di bisogno. Quanti sono i lavoratori coinvolti in questo fenomeno a Prato? Quante le aziende che li impiegano? Quante famiglie, italiane e straniere, traggono sostentamento diretto e indiretto da questa situazione fuori dalle regole? Non conosciamo questi numeri, altrimenti avremmo un'idea precisa di quello che viene chiamato ormai da tempo "sistema Prato", che poi non è altro che l'abbraccio tra chi decide di infischiarsene delle regole e chi si adegua per necessità e/o convenienza. Un fenomeno che non può essere contrastato solo con la repressione, come i fatti hanno dimostrato, ma che ha bisogno di un approccio sistematico nell'applicazione delle leggi esistenti, di nuovi strumenti a tutela di chi denuncia irregolarità e della dedizione totale della politica locale e nazionale. Queste non sono altro che le richieste contenute in un protocollo che sindacati e categorie economiche firmarono nel 2017, in un raro caso di convergenza, per il "Lavoro dignitoso e il ripristino della legalità nel sistema produttivo illegale pratese del tessile-abbigliamento". E proprio su questo tema la Cgil è tornata a ribadire la necessità di un impegno costante e programmatico da parte della politica. Ci sembra necessario ripartire da questa considerazione. Mentre attendiamo le grandi opere che cambieranno volto alla città, tutti coloro che hanno a cuore Prato non possono più ignorare la vera sfida che li attende in futuro. Cambiarne l'anima.