Sono fortunata. Per ora tutto procede bene.
La quarantena non ha stravolto eccessivamente le mie giornate. Sono una smart worker abituale e lavorando nel settore della comunicazione, la mia attività continua anche durante questo periodo. Anzi… deve essere ancora più immediata, veloce e aggiornata.
Per di più appartengo alla specie “essere umano introverso”: la solitudine è qualcosa di cui ho bisogno a intervalli regolari, una sorta di autoricarica necessaria e gradita.

In queste settimane mi trovo a vivere la quarantena con i miei genitori e in casa ci siamo più o meno implicitamente suddivisi gli spazi. È un accordo non scritto, mai dichiarato, ma rispettato da tutti.


Mio padre, 77 anni, staziona in salotto. Circondato dai libri, legge, utilizza la tv solo ed esclusivamente per ascoltare la musica, lo fa con le cuffie, quelle grosse da quiz show anni 90 con il filo lungo.

Ha una sorta di tavolino dove riaggiusta cose, anzi le risuscita. Ha sempre avuto quella saggezza delle mani, di riutilizzare tutto fino a che si può, di riaggiustare anche quello che sembra impensabile. Ora che è costretto a stare sempre in casa, scopre cose rotte con maggior frequenza. O forse a guardarle bene le cose sono più rotte di quanto si pensi. Al momento la sua sfida è la scopa elettrica: proprio non si riprende.

Mia madre, 65 anni, la cucina. Sul tavolo da pranzo fa di tutto: prepara striscioni bianchi da appendere al terrazzo, cuce mascherine di stoffa per tutta la famiglia e per il prete, perché lui le dia ad altre persone, che a loro volta le diano a chi ne ha bisogno. TV accesa H24, partecipa a tutti i flashmob della situazione, è attiva su facebook (non sempre in modo pienamente consapevole) e cucina con passione.

Io, nella mia camera, che abito come se fosse un’intera città. Non avendo la possibilità di avere uno studio, questa stanza, oltre ad essere il luogo del riposo, è anche il mio ufficio e il posto dedicato al relax e allo svago. Organizzare lo spazio e il tempo è fondamentale. Parola d’ordine: sezionare, suddividere in zone e momenti della giornata. Il rischio altrimenti è mescolare tutto - lavoro e riposo, divertimento e studio - come se tutto acquisisse lo stesso sapore, e il primo effetto è che si fatica a prender sonno.

Quando non lavoro leggo, canto, suono, ascolto musica, mi alleno (mi alleno? Mi alleno).
Con gli amici di sempre ci accordiamo per guardare lo stesso film e lo commentiamo in chat in tempo reale, oppure ci colleghiamo per fare giochi in scatola da remoto.

Intanto mio nipote sta imparando a parlare dall’altra parte del mondo: Firenze centro.

Nella pratica per me le cose non sono cambiate più di tanto, ma mai come adesso percepisco con nettezza un fuori e un dentro, e sono due mondi distanti, due storie diverse, entrambe reali, eppure opposte. Tempesta fuori, tepore dentro, caos e ordine, tragedia e sollievo. Le notizie con le quali mi aggiorno mi fanno come rimpicciolire. È allora che il fuori irrompe, sfonda le difese, sbatte le porte come un vento furioso. Tutto sembra farsi di pietra, tanto sembra spaventoso, pesante e arido.
Quando succede, mi aggrappo a immagini di leggerezza. Come direbbe Calvino, provo a planare sulle cose dall’alto.
Dal terrazzo di casa osservo il cielo terso, passo con lo sguardo da un ramo all’altro tra gli alberi di questo parcheggio. Vedo la punta dei pini smossi piano dal vento, dall’alto mi faccio vicina alla strada deserta, posso toccarne l’asfalto: è tiepido. Passeggio con gli occhi sui tetti inondati dal sole. Vedo tutto rifiorire, la primavera avanzare.
Sono fortunata. Per ora tutto procede bene.

Francesca Muscedra

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