Il mare di Livorno dev’essere davvero torbido per suggerire decisioni come quella che ha portato il Tirreno, principale giornale della costa, a chiudere dopo trent’anni la redazione di Prato.

Anche se, per fortuna, i posti di lavoro sono stati mantenuti e l’edizione locale esisterà ancora su carta e su web, la chiusura della redazione sancisce l’allontanamento fisico del quotidiano dalla seconda città della Toscana, proprio alla vigilia delle elezioni amministrative. Il momento peggiore per allontanare giornalisti e chiudere redazioni: un danno e una beffa per circa 250 mila persone.

Certo, ci sono la crisi e la necessità di ottimizzare costi, risorse e ricavi, di tamponare le copie perdute, di raccogliere la sempre sfuggente pubblicità e infine di sviluppare e potenziare il web (?). Scelte e strategie che devono essere rispettate, anche quando si spogliano del sacro spirito di servizio che hanno indossato per decenni e ci appaiono in tutta la loro evidenza di operazioni commerciali. A Prato, città di imprenditori per eccellenza, probabilmente lo capiamo prima e meglio che altrove.

Eppure questa chiusura sembra l’ennesimo gesto di disamore e disattenzione del giornale nei confronti della città Prato.

Il primo, eclatante nel suo simbolismo, s’è manifestato tirando giù l’insegna dalla storica sede di via del Ceppo Vecchio, in faccia al Castello simbolo della città, e trasferendo la redazione nella più anonima e defilata piazza San Marco. Succedeva meno di dieci anni fa.

Il secondo, anch’esso inserito in una dinamica regionale, è stato l’accorpamento di quella pratese con altre edizioni locali. Come se una mattina, in edicola, i livornesi scoprissero che la loro edizione non è stata solo accorpata ma addirittura postposta a quella di Pisa. È successa la stessa cosa a quella di Prato con Pistoia, e chi pensa che in Toscana il campanilismo sia solo questione d’arselle e torri pendenti, la conosce davvero poco. O se ne frega.

Infine la chiusura della redazione e la smaterializzazione di un punto di riferimento che in trent’anni ha fatto da spalla e da guardiano alla città, ha creato dibattito e fatto opinione, o più semplicemente ha accompagnato ogni giorno migliaia di persone nella loro vita di cittadini.

«È la stampa, bellezza! E tu non puoi farci niente! Niente!», recitava qualcuno ormai troppo tempo fa. Ma anche se non possiamo farci niente, almeno una domanda ce la permettiamo. Possibile che in quell’osservatorio privilegiato che è lo scoglio livornese a nessuno sia venuto in mente che forse conveniva investire e presidiare, scavare e raccontare ancora meglio una città complessa e ricchissima di storie come quella di Prato?

Il timore, che a Prato forse percepiamo prima e meglio di altri, è che la risposta a questa domanda non abbia nulla a che fare con la carta e nemmeno con la stampa.

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