C’è uno spettro che si aggira in città. Volteggia sui banconi dei bar e nelle bacheche di Facebook in attesa di  qualcuno che si faccia portavoce di un concetto che ogni cinque anni, sempre in modo diverso, diventa il propellente della campagna elettorale.

È lo spettro di “chi ama davvero Prato” quello con cui ogni elettore dovrà ancora una volta confrontarsi nei prossimi mesi. E dovrà farlo come sempre senza preavviso, col rischio di vedersi risucchiato in un vortice di ragionamenti ambiguo e il più delle volte strumentale, che in questa sede proveremo a dipanare una volta per tutte nella speranza che possa essere d’aiuto a qualcuno.

Spunterà mentre saremo a tavola con parenti e amici oppure a farci una bevuta la sera, scorrendo compulsivi le nostre bacheche o al supermercato, dentro a quelle mezze frasi che s’incrociano vagando col carrello di corsia in corsia.  Spunterà all’improvviso: tizio o caio, lui sì che «ama davvero Prato». Quando capiterà, perché capiterà, non lasciamo correre. Ancora prima di decidere se siamo d’accordo o meno, chiediamoci cosa significa quella frase nel contesto della discussione politica che lentamente sta prendendo campo in città.

Chi l’ha pronunciata? Uomo o donna che sia, giovane o in là con gli anni, l’affermazione connota chi la pronuncia più di quanto possa sembrare. Nella maggior parte dei casi è infatti una legittima affermazione contro lo stato vigente perché palesa un disagio, un velato malcontento, e contrappone implicitamente un nome a quello di un altro, che per chi parla non ha agito, non agisce o sembra non voler agire con abbastanza amore per la propria città. È insomma un’affermazione molto più aggressiva del tono bonario con cui di solito viene pronunciata. E anche nel caso si palesi in forma di aspirazione generale, senza cioè essere accompagnata da un nome, non è difficile indovinare cosa si agiti nella mente di chi la propone: qualcosa di diverso per il futuro governo della città.

Ma quella che sembra una banale affermazione specchio delle aspirazioni di chi la pronuncia, proprio come se la sua bussola elettorale inseguisse la figura più rappresentativa del proprio grado di sentimento per il luogo dove vive, è invece qualcosa di molto peggio. È il sintomo di una perdita d’adesione alla politica nota da tempo ma che in questo caso rischia di degenerare nella mistica, gettando l’elettorale ancora di più nel caos. Gli elementi sono chiari. Si cerca infatti un uomo o una donna che chiamati nelle stanze di governo sappiano dimostrare con le azioni il proprio amore per la città. Però a mente fredda è davvero difficile individuare queste azioni nell’amministrazione quotidiana di una città, di un Comune, di una Regione o di uno Stato.

Quindi sembra opportuno farsi alcune domande quando ci imbattiamo nello spettro di “chi ama davvero Prato”. Le prime sono logiche: l’amore per la propria città può essere davvero una caratteristica del candidato sindaco? Non è scontato che chi ambisce alla politica agisca poi nel bene della collettività? Certo, gli scandali della politica nazionale degli ultimi trent’anni ci hanno insegnato che le sorprese sono sempre dietro l’angolo. Ma quella locale è una realtà diversa, più vicina, la possiamo toccare con mano e proprio per questo controllare con maggiore facilità. Dovrebbe essere più rassicurante insomma, ma ecco lo spettro di “chi ama davvero Prato” che ci tira per la manica, ci confonde. Come? Proviamo a trovare una risposta a quest’altra domanda: in che modo un amministratore dimostra amore per la propria città? Se usiamo il “criterio dell’amore”, chiamiamolo così, allora ogni singolo elettore avrà non solo la propria lista personale di azioni ma anche un proprio ordine di priorità capaci di dimostrarlo. Non c’è nulla di strano, è solo il criterio con cui si analizzano le politiche e le intenzioni dei candidati che è fallace.

L’amore per la propria città è un bellissimo sentimento di chi la abita, ma non può essere il sentimento guida dell’amministratore. Il sindaco, perché di questo stiamo parlando, guida il Comune cui “spettano – dice il Testo Unico degli Enti Locali del 2000 – tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. Una spiegazione che restituisce solo in parte la complessità degli ambiti in cui si muovono i gangli di un’amministrazione comunale – ribadendo il fatto, mai scontato, che esistono delle leggi superiori cui adeguarsi – ma che da sola basta forse a far capire quanto sia inappropriato, riduttivo e controproducente qualsiasi riferimento al sentimento quando si parla di amministrare una città.

Quando ci imbattiamo nello spettro di “chi ama davvero Prato” dovremmo quindi fermarci un attimo e pensare a quel nome nei termini che poi lo caratterizzeranno nel caso salisse al governo della città: in che modo ha intenzione di impostare e poi svolgere il proprio lavoro; che tipo di soluzioni propone per questo e quel problema e la loro fattibilità; quali prospettive di sviluppo assicura ai propri cittadini e alle imprese locali e soprattutto il loro grado di fattibilità. Una volta vagliati questi e molti altri aspetti degli argomenti con i quali un politico vuole farsi eleggere, allora sì che potremo lasciarci andare e scegliere come meglio ci piace e sulla base di quello che vogliamo, compreso il presunto amore per la propria città. E se qualcuno se lo stesse chiedendo, c’è un motivo preciso per cui dovremmo – noi cittadini in fila per l’urna – procedere in questo modo di fronte ai candidati alle prossime amministrative: perché i programmi, le cose fatte e non fatte – al contrario degli slogan, degli anatemi e dei richiami identitari che vanno per la maggiore – sono tutte misurabili, e solo considerandole in coscienza si può valutare la competenza di un sindaco e della sua giunta e comprendere poi, quando tra cinque anni ci troveremo di nuovo alle prese con lo spettro di “chi ama davvero Prato”, se abbiamo contribuito ad amarla davvero oppure no.

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