Nei giorni scorsi alcune persone mi hanno scritto chiedendomi delucidazioni, in qualità di biologo ambientale, in merito ai lavori in corso lungo le sponde del fiume Bisenzio all’altezza della città di Prato, dove sono state viste in azione diverse ruspe intente a rimuovere la vegetazione spontanea e in alcuni tratti ad effettuare movimento terra.
Premetto che non sono coinvolto in tali lavori e che pertanto non ho avuto la possibilità di esaminare dal vivo le attività, mi limiterò pertanto ad illustrare quali siano i potenziali impatti di interventi di questo tipo sugli ecosistemi fluviali, e quali invece le ideali pratiche di gestione.
Innanzitutto, un fiume è un ecosistema vivo e dinamico, che interagisce costantemente con l’ambiente circostante il suo corso. Riceve acqua e materiali dal territorio, che trasporta e redistribuisce altrove favorendo il movimento di energia, materia e risorse. All’interno di un fiume si svolgono importantissimi processi biochimici di depurazione delle acque da composti inquinanti e da nutrienti (azoto e fosforo). In questo ecosistema, un fiume fornisce indispensabili “servizi” di cui l’uomo beneficia e grazie ai quali sopravvive, così descritti dagli scienziati:
- Servizi di approvvigionamento di risorse (acqua, risorse ittiche, ecc.);
- Servizi di regolazione e mantenimento (mitigazione delle piene, depurazione dell’acqua dagli inquinanti, ecc.);
- Servizi di supporto alla vita (formazione del suolo, trasporto dei nutrienti, creazione di habitat per la flora e la fauna, ecc.);
- Servizi culturali (godimento delle bellezze naturali del fiume, trasmissione di saperi legati al fiume, educazione ambientale, cultura naturalistica, ecc.).
Una ricerca recente (2014) ha quantificato il valore dei servizi ecosistemici prodotti da un fiume in circa 13000 $ per ettaro all’anno, non conteggiando i servizi culturali che in quanto tali sono intangibili.
In quanto sistema aperto, un fiume ha dei confini di transizione tra il suo corso e il territorio attorno, rappresentati dalle fasce di vegetazione riparia (erbe, arbusti ed alberi che crescono dentro o nelle immediate vicinanze dell’acqua, lungo le sponde). Queste “fasce tampone” sono oggi ritenute importantissime:
- Sono dei “corridoi vegetali” utilizzati dalla biodiversità per spostarsi all’interno di un territorio sempre più urbanizzato;
- Sono devi veri e propri filtri biologici che depurano l’acqua e i sedimenti dagli inquinanti, prima che questi raggiungano il fiume;
- Sono un habitat nel quale possono vivere moltissime specie vegetali e animali.
Tale e tanta è l’importanza oggi riconosciuta alle fasce tampone, che in alcuni contesti si pensa a ricostruirle (rinaturalizzazione dei fiumi) oppure si istituiscono specifiche normative per preservare quelle esistenti dagli impatti antropici.
Purtroppo, spesso e volentieri a questi indiscutibili “meriti” dell’ecosistema fluviale non corrisponde una gestione che integri anche gli aspetti ecologici e naturalistici. I fiumi sono considerati delle sezioni idrauliche, dei “condotti” attraverso i quali l’acqua deve scorrere a valle il più rapidamente possibile, e come tali sono mantenuti.
L’alveo viene rettificato, le sponde risagomate, e tutta la vegetazione riparia presente (anche di tipo erbaceo e arbustivo) viene completamente rimossa. Da ecosistema ricco di habitat e biodiversità, il fiume si trasforma quindi in un condotto idraulico ecologicamente banale. Un certo tipo di gestione ripetuta nel tempo ha degli effetti ambientali così sintetizzabili:
- Diminuiscono le zone di ombra, per cui in estate l’acqua si scalda molto di più
- Maggiori temperature medie diminuiscono il livello di ossigeno disciolto in acqua
- L’eccesso di luce favorisce la crescita di alghe e la colorazione verde dell’acqua
- Mancando le fasce tampone, gli inquinanti finiscono in acqua senza alcun processo di depurazione
- Vengono a sparire habitat importanti per la vita e la riproduzione della fauna (pesci, invertebrati, ecc.)
- Si favoriscono specie di piante e di animali infestanti e invasivi (nutrie, gambero rosso della Lousiana, rovi, ecc.), gli unici che riescono a tollerare una gestione impattante
- Si sfavoriscono al contrario le specie più rare, delicate ed esigenti
- L’aspetto stesso del fiume viene banalizzato, trasformato in un “tubone” di trasporto dell’acqua
- Si insinua nella mente della cittadinanza l’idea che un fiume non “pulito” sia un fiume sempre e comunque pericoloso, fonte di degrado, “sconveniente”. La vegetazione e la biodiversità riparia sono considerate “sporcizia” da rimuovere e non quello che sono realmente, vale a dire un habitat interessantissimo fonte potenziale di conoscenze naturalistiche, oltre che indispensabile alla corretta salvaguardia del fiume.
Un fiume “riqualificato” o “valorizzato” non dovrebbe essere quello con le sponde completamente prive di vegetazione, spianate e in estate riarse dal sole. Al contrario, la riqualificazione dovrebbe prevedere ogni qual volta sia possibile l’integrazione virtuosa tra gli aspetti di mitigazione del rischio idrogeologico e quelli di funzionalità ecologica del fiume, prevedendo anche aree a ridotto intervento umano ove la crescita della vegetazione riparia spontanea e la creazione di habitat siano promossi e valorizzati, anche in ambito urbano e perturbano.
Interventi calibrati tenendo conto anche del calendario biologico delle specie, e riducendo solo allo stretto indispensabile i tagli a raso, potrebbero rendere i fiumi molto più gradevoli esteticamente e più funzionali ecologicamente, permettendo il recupero e il potenziamento dei servizi ecosistemici fluviali e la conservazione di questa risorsa ambientale.
Contemporaneamente, si eviterebbe di far passare nella cittadinanza il messaggio, fuorviante dal punto di vista ecologico e naturalistico, che un fiume “riqualificato” lo si possa ottenere solo artificializzandolo del tutto, togliendo la maggior parte della naturalità (erbe, arbusti, alberi) e dotandolo di elementi di arredo urbano. Come si spera di avere chiarito in questa sintesi, la riqualificazione dei corsi d’acqua in contesto urbano non può invece prescindere da un loro recupero anche eco sistemico ed ecologico, rifuggendo semplificazioni concettuali e visioni distorte del passato.
Andrea Vannini, biologo ambientale