Indagine sullo stato del riciclato
Tutti pazzi per il riciclato: gli americani hanno lanciato questa nuova tendenza e il resto del mondo li sta seguendo a ruota. Nella moda serve a dare un segnale di attenzione alla salute del pianeta, visto che quella tessile è stata individuata come la seconda industria più inquinante al mondo. I creativi sono così alla continua ricerca di materiali nuovi per immettere sul mercato capi riciclati e seguire i dettami dell’economia circolare. La volontà è quella di immaginare prodotti che abbiano più vite e che possano avere usi diversi prima di finire nell’inceneritore.
In questo i pratesi sono arrivati prima di tutti, addirittura alla fine dell’Ottocento. La scarsità e il costo elevato della materia prima è sempre stato un tema monitorato con attenzione dalle imprese del distretto, che alla fine hanno trovato la soluzione giusta per riciclare la lana e produrre per decenni il cardato riciclato. Il mondo per anni non si è accorto di quello che stava accadendo qui. Anzi, gli stracci erano percepiti come rifiuti e che il prodotto era riciclato si cercava un modo addirittura per non dirlo.
Adesso invece gli stracci sono una vera e propria ricchezza. Tutti a Prato vogliono presentare ai propri clienti dei prodotti riciclati, anche chi fino ad ora non trattava questo tipo di materiali. Non è un obiettivo così complicato da raggiungere: secondo lo standard internazionale GRS (Global Recycling Standard) rilasciato dall’associazione Textile Exchange, per fregiarsi del marchio più utilizzato a garanzia dei prodotti riciclati è sufficiente che il prodotto ne contenga il 20%. Una cifra modesta, se si tiene conto che nel distretto ci sono aziende che in collezione hanno prodotti fatti anche con il 90% di riciclato.
Ma il distretto sarà in grado di rispondere alla domanda di materiale riciclato che sta arrivando dal mercato? Quanto ne produciamo e quanto potremmo produrne?
Impossibile avere numeri certi: avventurarsi alla ricerca del volume di produzione di riciclato nel distretto significa dover andare a sommare molte voci diverse, perché oggi quel mondo si compone di tanti prodotti diversi. Ci sono i sottoprodotti che derivano dal ciclo dei pettinato: cascami, blousses, laps, fila. Questi materiali vengono riutilizzati e possono provenire dal distretto, da Biella o possono anche essere importati. «Ogni anno ne vengono trattati circa 5 milioni di chili a Prato», commenta Sauro Guerri, titolare di Progetto Lana. A questi numeri vanno aggiunti quelli del commercio di abiti usati, difficile da misurare perché possono provenire dal mercato interno o dall’importazione.
Ci ha provato ASTRI, l’associazione per il tessile riciclato, che conta 160 aziende e che si è costituita appena un anno fa. «Abbiamo fatto un’indagine tra i nostri soci per capire quale sia il volume di quello che lavoriamo ogni anno a Prato: nel 2017 abbiamo trattato 142 milioni di chili di materiale. Di questi 61 milioni sono indumenti usati e destinati al second-hand, ma comunque selezionati da operatori del territorio» , spiega Fabrizio Tesi, presidente dell’associazione. Un numero enorme secondo alcuni operatori del settore, ma Tesi è convinto della sua indagine. La sua azienda è proprietaria di uno dei tre carbonizzi a umido della città: solo qui può essere lavorata la lana. Altri materiali possono invece essere trattati con la sfilacciatura. «Se il mercato continua a chiedere materiale riciclato, la produzione dei carbonizzi può aumentare fino al 30%», aggiunge Tesi. Un grosso margine di crescita, che però rappresenta anche il limite massimo al quale può arrivare questa attività. Senza filiera non c’è produzione. Lo sa bene Lido Macchioni, il decano delle filature cardate, che da anni si batte per proteggere la filiera. «Nel ’94 avevamo 360 filature che producevano 160 milioni di chili di filato all’anno - commenta - Adesso le filature sono 90 e non tutte fanno solo cardato riciclato». E quanto producono? Macchioni fa un complicato calcolo basato su ampiezza di cardatura, titoli e giorni di lavoro degli impianti. «Oggi facciamo 40 milioni di chili all’anno. Potremmo produrre di più? Forse un 30% in più, rivedendo i turni delle filature e facendo lavorare gli impianti anche durante i mesi che adesso sono più fiacchi».
Per anni il distretto pratese si è vergognato di basare la propria fortuna sull’uso di materiali riciclati, che permettevano di avere prezzi più competitivi. E adesso che è il momento di farsi avanti per rispondere alle richieste del mercato, potrebbero esserci problemi a produrre i materiali. Ma le cose si stanno muovendo velocemente: se la lana e il cachemire rigenerato sono i prodotti che caratterizzano la storia di Prato, adesso c’è anche chi si sta muovendo con il riciclo del cotone. Sul territorio mancano i macchinari per produrlo, ma ci sono già imprese che stanno creando i primi filati per il mondo della moda e che sono molto apprezzati.