Cosa ci dicono le elezioni abruzzesi su quelle di Prato
È successo là, ma qui si è sentito il rumore. Prato e L’Aquila sono collegate da gangli stradali complessi, tuttavia osservando la cartina geografica, in fondo, ci si rende conto che sono parecchio vicine. Una caratteristica che vale anche come ingrediente della metafora sulle loro scadenze elettorali. A Prato si voterà il 26 maggio per eleggere il sindaco, in Abruzzo si è votato ieri per eleggere il governatore. Ha vinto il centro destra (48,2%), con un distacco abissale sul centrosinistra (31,5%) e sul M5S (19,9%). A dirla tutta ha vinto la Lega (27,6%), prima forza della coalizione che aumenta il distacco con gli alleati rispetto delle ultime politiche, quando era già diventata il fattore trainante; non sono andati male nemmeno Forza Italia - che esiste a un passo dalla soglia di resistenza della doppia cifra (9,2%) - e Fratelli d’Italia (6,6%), il cui candidato è stato eletto presidente (primo presidente di Regione nella storia di quel partito). Ha perso male il Movimento Cinque Stelle (19,9%), il cui risultato è in netta flessione rispetto a tutti gli ultimi appuntamenti elettorali e la cui candidata Sara Marcozzi è arrivata solo terza. Hanno perso bene, laddove il verbo pesa più dell’aggettivo, il centrosinistra e il Pd: il candidato Legnini raggiunge la seconda piazza con percentuali crescenti rispetto al trend degli ultimi 3 anni. Alla corsa per la presidenza di Regione ha partecipato anche il candidato di un gruppo di estrema destra, condannato dalle urne all’irrilevanza degli zerovirgola.
Sappiamo che le regionali non sono le comunali, che Prato non è in Abruzzo, che il sistema elettorale è diverso (ma non troppo). Ci sono però diversi segnali che la politica pratese può cogliere da questa consultazione. Ed effetti immediati.
Innanzitutto, da oggi, chi ha vinto in Abruzzo si sente più forte anche qui. È una questione politica e psicologica: è la sindrome delle “squadre gemellate”. La tornata abruzzese, poi, è l’unico riferimento empirico prima delle elezioni comunali di Prato. In soldoni la Lega è sempre più in vantaggio nella proposta all’interno del centrodestra: diviene granitica la candidatura a sindaco del nome fatto dal Carroccio, Daniele Spada, che stando così le cose diverrà ufficiale
nelle prossime ore.
Guardiamo poi al vincitore de facto. Il nuovo presidente è Marco Marsilio, esponente di Fratelli d’Italia, il partito che riesce una volta di più a far pesare la preparazione della sua classe dirigente in luogo dell’adesione degli elettori al suo progetto. Era successo anche nella vicina Pistoia, prima roccaforte rossa a crollare nella nuova era di declino del modello amministrativo di sinistra in Toscana. Marsilio era molto meno conosciuto dei suoi avversari, meno esposto
mediaticamente in passato. Questo vuol dire che – almeno lì – il vento di destra pesa quanto (e più?) della notorietà di chi lo rappresenta. Un fattore da tenere a mente.
A sinistra la sconfitta ha portato un sorriso. Il modello del Pd con liste civiche collegate al candidato, alleato ai frammenti del centro e della sinistra, senza simboli di partito e soprattutto senza l’esposizione di leader e big nazionali, pare fruttuoso. Ottimizza l’adesione degli elettori di area, aumenta l’appeal del cartello, fa registrare ai democratici un risultato di crescita inedito. Si
dirà che i big ultimamente sono poco big. Si dirà che i numeri dem erano già ai minimi termini e che più in basso di così non si poteva certo andare. Al netto di tutto questo, la coalizione che sfonda quota 30% è una vera notizia. Matteo Biffoni aveva probabilmente intuito questo trend: la sua coalizione somiglia moltissimo a quella di Legnini nella forma e l’assenza delle bandiere del Pd nell’avvio della sua campagna al teatro Metastasio segue questa stessa traccia. Da ieri il sindaco è forse più confidente nella sua strategia di ricandidatura.
Infine i Cinque Stelle di Prato, la cui strada segnata dall’Aquila passa per l’eliminazione di chiari ostacoli. Non far partecipare i leader del Movimento alla campagna sul posto, in un momento di impopolarità della classe dirigente del popolo del vaffanculo, potrebbe essere una
buona idea. Il richiamo all’era dell’insulto non è utilizzato qui per dileggiare, ma - al contrario - per sottolineare che a livello elettorale la pars distruens del Movimento fondato da Grillo
ha mostrato di funzionare molto meglio della pars construens: i movimentisti che hanno comunicato ribellione hanno raccolto fiducia e consenso, quelli della propaganda sui provvedimenti fatti e da fare, per gli elettori indecisi, non è sexy. La riprova, qualora il M5S
pratese riproponesse lo schema di comunicazione abruzzese, l’avremo il giorno delle elezioni: i gialli partono dai 23 mila voti presi in città alle ultime politiche.